La voce di Mario Zoratto: “Il perché del mio impegno”

 Mario Zorattodi Mario Zoratto –

Cari amici, nel momento in cui, designato dalla mia organizzazione di appartenenza, il CTIM, sono chiamato a far parte del CGIE, sento il dovere di esprimere sentimenti di gratitudine e di apprezzamento, di impegno. Non voglio naturalmente fare un discorso, ma proporre solo qualche osservazione, rischiando di dire forse delle cose note.

Sono una delle tante voci dell’emigrazione, una qualsiasi, ma autentica. Desidero anzitutto porgere un saluto al Vice Ministro B. Archi, al Segretario generale E. Carozza, alla Direttrice Generale del Dipartimento Italiani nel Mondo C. Ravaglia, alla Segreteria e ai Consiglieri tutti sperando di essere accolto in questa simbolica e storica assemblea con benevolenza e simpatia. Sono un po’commosso nell’entrare a far parte di tale struttura, pensando al passato, «un passato recente» e nello stesso tempo preoccupato, visto il dibattito teso in questo momento in seno e attorno alle istituzioni, colpite di ristrutturazioni, risparmi, tagli; ma sono comunque pronto, ansioso di partecipare ai lavori di questo Consiglio che é, a mio avviso, ancora centro, luogo sensibile, di riflessione e di proposta ben poco conosciuto dalla base, dai nostri connazionali all’estero.

Risiedo in Francia a Parigi da 51 anni di cui 37 anni trascorsi, vissuti come Prof. universitario specializzato in architettura sociale e sanitaria. Sono eletto al COMITES nella circoscrizione Consolare di Parigi e componente attivo del CTIM che, sulla scia del suo fondatore On. M. Tremaglia prosegue sotto la guida degli amici Canepa e Menia un meritorio lavoro di presenza e di impegno per la difesa degli interessi, dei diritti e della dignità degli Italiani nel mondo.

Rappresento, come voi tutti, diverse generazioni di emigranti, gente dal parlare schietto attenta e a volte critica, sopratutto sul ruolo di noi tutti, rappresentanti o eletti, nei COMITES, nel CGIE, nel Parlamento: «a che cosa servono» e «non si vedono mai». Io credo invece necessario e doveroso mantenere questi mandati, questi interlocutori (esempio: la Francia ne ha aggiunti altri ultimamente, 11 dep. alla Camera; l’ AFE, struttura equivalente al CGIE è composta di :155 memb., 12 sen., 11 dep., 12 pers., per rappresentare circa 2.mil.100 di francesi all’ estero), pur riconoscendo di dover fare un più grande lavoro di scambio, d’informazione, di maggior presenza e visibilità sui territori, di incontro anche fisico con la nostra comunità oltreconfine, al di là delle possibilità di comunicazione che offrono i nuovi mezzi in rete.

Vorrei soffermarmi, un istante, sulla dimensione storica dell’emigrazione Italiana recente e per farlo mi riferisco alla affermazione dello storico francese Le Goff che dice «non si può essere orfani della storia», ritenendo doveroso ricordare brevemente l’operato del Ministro Tremaglia, che assieme certo ad altre personalità, ha dedicato la sua vita politica e parlamentare nella battaglia per il riconoscimento del diritto di voto tanto calpestato e ora addirittura minacciato di cancellazione e di tutte quelle altre azioni a carattere sociale, culturale ed economiche intraprese per e dalla nostra secolare emigrazione. A questo punto aggiungo la persona di Bruno Zoratto, pur lasciando al tempo la giusta considerazione, come una delle figure emblematiche del dibattito, della lotta e sopratutto dell’impegno scrupoloso e appassionato di protagonista di un giornalismo voce dei tanti, che in emigrazione non hanno voce.
Egli ha creduto con passione alla causa dell’emigrazione sino all’ultimo suo giorno. Incomincio il suo lavoro d’ analisi sulle condizioni dei nostri connazionali nel contesto complesso e buio dell’allora società tedesca, nella quale volavano parole e scritte molto dure di disprezzo per poi, dalla fredda e grigia Stoccarda, attraversare i continenti alla ricerca di altri contatti e dialoghi. Negli ultimi anni si concentrò particolarmente sul tema della esclusione dei giovani italiani in Germania, una realtà cruda, dolorosa. E voglio ricordare naturalmente O.Motta, l’ infaticabile amico da poco scomparso e tutti coloro che, sono numerosi componenti di questo organismo, ci hanno lasciati uno dietro l’ altro.

Attualmente viviamo in un mondo aperto in cui il diritto di emigrare non è riconosciuto da tutte le nazioni e nello stesso tempo assistiamo ad un aumento spaventoso dei migranti che errano nel mondo: nel 1975 erano 70 milioni e nel 2013 sono 240. Malgrado l’importanza del fenomeno ciò che è preoccupante e quotidianamente angoscioso, per noi figli di una grande emigrazione, è l’atteggiamento sociale, nazionale ed europeo, di fronte ai flussi migratori, agli spostamenti, al fuggire delle popolazioni dai conflitti, dalle catastrofi, dalle dittature, alla ricerca di una vita migliore, in paesi più sicuri, come quelli della «vecchia Europa». La povertà, l’aumento delle persone emarginate, la violenza urbana, sono i segni di una società che soffre. I territori, le città sono luoghi teatri di scontri e cambiamenti sociali profondi e gravi. Manifestazioni, contestazioni e proteste riguardanti la delocalizzazione, la disoccupazione, la scuola, la casa, l’ambiente coinvolgono tutti giovani e persone anziane, residenti e comunità immigrate. In questo clima generale e di trasformazione e crisi globali, anche il tema dell’emigrazione assume un significato più ampio e più profondo e richiede un’ attenzione, una analisi e un approccio di grande respiro culturale e di più rilevante spessore politico ed intellettuale.

Perciò io credo, e mi scuso per il mio intervento forse non rituale e condividendo la relazione del Segretario Generale, che l’impegno del nostro organismo debba rivolgersi, certo alla difesa estrema dei valori, dei diritti e degli interessi delle nostre comunità all’estero, ma anche ad una riflessione non banale sulle origini, le cause e le soluzioni possibili in tema di mobilità umana, d’ integrazione socio – culturale, di sviluppo economico, di dignità da difendere e di rispetto delle proprie radici, peraltro considerando con la massima attenzione gli importanti e dettagliati studi elaborati dalle Fondazioni e dai Centri di ricerca. Per queste ragioni credo fermamente nel ruolo del CGIE, nella prosecuzione del suo impegno, nell’ allargamento attualizzato delle sue funzioni e quindi di una intuizione costituzionale, che ha avuto in Tremaglia e nei suoi collaboratori, ma non solo, una lunga testimonianza efficace ed appassionata.

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