Pubblichiamo l’editoriale del Segretario Generale del Ctim, on. Roberto Menia, apparso oggi sul Giornale d’Italia.
C’era una volta la sinistra di lotta e di governo che sventolava, come una bandiera/mantra, il dettato costituzionale relativo al fatto che l’Italia fosse una Repubblica fondata sul lavoro. Come se alle altre forze politiche non importasse poi molto dei livelli di occupazione. E c’era una volta un governo, o più di uno, dove la delicatissima casella del welfare venne affidata a Giuliano Poletti.
Sia chiaro: non siamo qui per inscenare un tribunale di accusa contro nessuno, solo animare una discussione (negli auspici alta) sull’opportunità che Poletti, a metà strada tra un gaffeur di professione o un incompetente, sieda su quello scranno così delicato per il nostro Paese.
I recenti dati Istat hanno provocato un attacco (contagioso) di euforia a Palazzo Chigi. Il tasso giovanile di disoccupazione è ai minimi dal 2012, e torna al 35,2%. Invece è stabile il numero degli occupati, mentre si contrae quello delle persone in cerca di occupazione e aumenta quello degli inattivi (drammatico): con ad aggravare il quadro la postilla relativa al numeri di emigranti che lasciano l’Italia, non più studenti o neolaureati ma maturi 40enni con in valigia fior di master e figli al seguito. Il premier Paolo Gentiloni ha twittato con insolito ardore trionfalistico: “L’impegno per le riforme ottiene risultati. E continua”.
Da festeggiare, invece, c’è davvero poco. Il gaffeur/incompetente, mentre Premier e past segretario del Pd si spellavano le mani applaudendo gli zero virgola registrati dall’Istat, collezionava uscite fuori luogo e attacchi diretti a quella fetta di italiani che non ha santi in paradiso e manda, come nel resto d’Europa, curricula sperando in un colloquio. “Il rapporto di lavoro è prima di tutto un rapporto di fiducia. È per questo che lo si trova di più giocando a calcetto che mandando in giro dei curriculum“. E ancora, a proposito dei giovani italiani costretti ad andare all’estero per cercare lavoro disse “alcuni meglio non averli tra i piedi”.
Non è certo da bacchettoni indignarsi per la volgarità delle parole di Poletti, ma serve (eccome) se vogliamo recuperare un certo tasso di dignità in questo Paese che cambia leggi elettorali come caramelle e non fa un passo uno in direzione del futuro.
Qui ci stanno imbrogliando: lo hanno fatto con il job’act, con il valzer sui voucher, sulle promesse da buontemponi che prima Renzi e oggi ancora Renzi (tramite Gentiloni) ha fatto a chi vede l’ombra di uno scenario ellenico appropinquarsi sullo stivale. Giorni fa il Financial Times, non il Gazzettino delle Coop di Poletti o il web magazine di suo figlio che tanto clamore ha fatto in rete per la storia dei contributi, ha scritto che l’Italia è seduta su una polveriera.
Altro che Grecia. E come allontaniamo quel pericolo dalle parti del governo? Lasciando al suo posto Poletti e le sue parole, pesanti come macigni, lanciate al cuore del problema italiano: il welfare. Peggio del curriculum vuoto della ministra Fedeli.
twitter@robertomenia